20 aprile 2024
Aggiornato 09:00
Salute

Scoperta straordinaria tutta torinese: una proteina per combattere il tumore al seno

Una donna su sette è colpita da tumore mammario: l'Università degli studi di Torino punta su una proteina «buona» per contrastare gli effetti del cancro

TORINO - Una notizia sorprendente arriva dalle pagine della prestigiosa rivista scientifica internazionale Nature Communication: una proteina proteggerà le donne dal tumore al seno. Lo studio, frutto del lavoro coordinato dalla professoressa Paola Defilippi, presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute dell'Università di Torino e della Città della Salute di Torino, ha una portata straordinaria e spiega nel dettaglio come questa proteina si oppone allo sviluppo e alla progressione del tumore mammario.

La proteina ERBB2 e il tumore al seno
Si parte dal presupposto che circa il 20% dei casi sotto cui si presenta il tumore mammario è caratterizzato da una quantità eccessiva di proteina ERBB2 (nota anche come HER2). Ed è proprio l'ERBB2 a incrementate la crescita del tumore: tale proteina infatti aumenta la proliferazione cellulare in modo non controllato e, di conseguenza, sostiene la sopravvivenza delle cellule tumorali  portando alla formazione di metastasi in altri organi. Lo studio della professoressa Defilippi ha quindi individuato un meccanismo di protezione per difendere le pazienti dagli effetti negativi della proteina ERBB2.

Non resta che una domanda: come?
Per combattere il tumore al seno entra in campo una proteina "buona": la p140Cap. Questa conferisce alle pazienti una maggiore probabilità di sopravvivenza e, di pari passo, un minor rischio di metastasi. A livello sperimentale con modelli cellulari sono stati dimostrati alcuni dei meccanismi attraverso cui p140Cap è in grado di limitare la crescita del tumore ERBB2 e di diminuirne la formazione di metastasi. I risultati indicano inoltre che questa proteina è espressa in circa il 50% delle pazienti di tumore ERBB2: individuando questa si avrà dunque un nuovo marcatore predittivo della patologia. I dati raccolti fin a ora servono come base di partenza per la messa a punto di nuove terapie, con particolare attenzione per quelle pazienti che non esprimono la proteina p140Cap e sono perciò soggette a tumori più aggressivi. L'intero studio è frutto di un lavoro di équipe tra Torino, IEO/IFOM di Milano, l'Università di Chieti-Pescara, l'Università di Camerino, l'Arcispedale di Reggio Emilia e l’Università di Lund in Svezia.