28 marzo 2024
Aggiornato 19:00
Sanità

Studio alle Molinette: proteina prodotta dal grasso corporeo predice l’aggravarsi della Sla

Una ricerca del Centro Clinico NeMO, in collaborazione con la Città della Salute di Torino, mostra che a elevati livelli di proteina C-reattiva corrispondono una più rapida progressione ed una minore sopravvivenza in pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica

TORINO - Una ricerca del Centro Clinico NeMO, in collaborazione con il Centro CRESLA dell'ospedale Molinette, ha dimostrato che la misurazione nel sangue nelle fasi iniziali della malattia della proteina C-reattiva, una molecola nota da tempo e facilmente dosabile, può essere utilizzata per predire l’aggressività di una delle patologie neuromuscolari più gravi e note, la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), da cui sono affette oggi in Italia oltre 6.000 persone. Ad alti valori di questa proteina, infatti, sono associati una più rapida progressione della malattia e una ridotta sopravvivenza. La proteina C-reattiva potrà anche diventare in futuro strumento per selezionare pazienti potenzialmente rispondenti a specifiche molecole mirate alla modulazione della cosiddetta neuroinfiammazione, cioè la componente infiammatoria che si scatena nel sistema nervoso quando è colpito da malattie neurodegenerative come la SLA.
Già oggi è in corso negli Stati Uniti uno studio su pazienti con alti livelli di questa proteina per verificare l’efficacia di uno specifico farmaco modulatore dell’attività dei macrofagi, cellule chiave nei processi neuroinfiammatori, i cui risultati saranno disponibili nei prossimi mesi.

Lo studio
La proteina C-reattiva è una proteina prodotta dal fegato e dalle cellule adipose, cioè del grasso corporeo. Nella fase più acuta di alcune patologie, nei processi infiammatori e dopo gli interventi chirurgici questa proteina è prodotta in misura superiore al normale, raggiungendo così una maggiore concentrazione nel sangue. In generale l’aumento di questa sostanza nel sangue è associato a situazioni in cui l’organismo è sottoposto a forti stress.

I ricercatori dei due Centri hanno individuato la relazione tra alte concentrazioni di proteina C-reattiva, il conseguente forte processo infiammatorio in corso nell’organismo e l’aggressività della SLA nei diversi pazienti analizzando i dati raccolti nella sperimentazione di un nuovo farmaco, NP001, che ha tra le sue caratteristiche anche una funzione di modulatore dell’attività di cellule implicate nei processi infiammatori. I ricercatori hanno osservato che questo farmaco era efficace solo su una parte dei pazienti coinvolti nello studio ed hanno pertanto ricercato che cosa li caratterizzasse. Il risultato di questa indagine è stato che tutti i pazienti che rispondevano alla terapia presentavano un alto livello di proteina C-reattiva nel sangue. A supporto di questa ipotesi i ricercatori hanno, inoltre, analizzato i dati della storia clinica di tre gruppi differenti di pazienti in fase iniziale e privi di evidenze di processi infiammatori in altri distretti, provenienti da Lombardia e Piemonte, ed hanno osservato che ad alti livelli di proteina C-reattiva corrisponde un quadro clinico del paziente più grave secondo la ALS Functional Rating Scale Revised (ALSFRS-R), la scala di misurazione usata a livello internazionale che permette di esplorare i principali ambiti funzionali (funzione bulbare, destrezza motoria, forza globale, respirazione), descrivendone il grado di compromissione e fornendo un quadro delle capacità residue e del grado di autonomia del paziente.
Inoltre, è stato rilevato che la sopravvivenza alla malattia in questi pazienti era più breve.

Lo studio in corso negli Stati Uniti per verificare l’efficacia di un modulatore dell’attività infiammatoria nei pazienti con alti livelli di proteina C-reattiva impiega proprio il farmaco NP001.

«Capire il ruolo dell’infiammazione nella progressione della malattia sarà fondamentale per i ricercatori che stanno lavorando a possibili terapie per il trattamento della SLA», sottolinea Christian Lunetta, neurologo del Centro Clinico NeMO e primo autore dello studio, «proprio la modulazione dei processi neuroinfiammatori della SLA potrà divenire una strategia terapeutica interessante da sviluppare in questa terribile malattia. E’ importante, però, ricordare che si tratta ancora di una ricerca e non di una terapia disponibile nell’attività clinica quotidiana, passo per il quale potrebbero essere necessari alcuni anni».